夢現そして無限たる夢幻(シリアス)

□E quindi uscimmo a riveder le stelle〜“太陽(エルソール)”と嘲笑に噎び泣く“天邪鬼(レムス)”〜
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Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ch・ la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era ・ cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant'・ amara che poco ・ pi・ morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dir・ de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al pi・
d'un colle giunto,
l・ dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite gi・ de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.





Allor fu la paura un poco queta
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.

E come quei che con lena affannata
uscito fuor del pelago a la riva
si volge a l'acqua perigliosa e guata,

cos・ l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasci・ gi・ mai persona viva.

Poi ch'・i posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
s・ che 'l pi・ fermo sempre era 'l pi・ basso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar pi・ volte v・lto.

Temp'era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n s・ con
quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;



s・ ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non s・ che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.





Questi parea che contra me venisse
con la test'alta e con rabbiosa fame,
s・ che parea che l'aere ne tremesse.

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti f・ gi・ viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.

E qual ・ quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutt'i suoi pensier
piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,

che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva l・ dove 'l sol tace.



Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto,
・Miserere di me・, gridai a lui,
・qual che tu sii, od ombra
od omo certo!・.

Rispuosemi: ・Non omo, omo gi・ fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patria ambedui.





Nacqui sub Iulio, ancor che
fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li d・i falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ili・n fu combusto.

Ma tu perch・ ritorni a tanta noia?

perch・ non sali il dilettoso monte
ch'・ principio e cagion di
tutta gioia?・.

・Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar s・ largo fiume?・,
rispuos'io lui con vergognosa fronte.



・O de li altri poeti onore e lume
vagliami 'l lungo studio
e'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu' io mi volsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene
e i polsi・.
・A te convien tenere altro viaggio・,
rispuose poi che lagrimar mi vide,
・se vuo' campar d'esto loco selvaggio:
ch・ questa bestia, per la
qua l tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura s・ malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha pi・ fame che pria.



Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e pi・ saranno ancora,
infin che 'l veltro
verr・, che la far・ morir con doglia.

Questi non ciber・ terra n・ peltro,
ma sapienza, amore e virtute,
e sua nazion sar・ tra feltro e feltro.





Di quella umile Italia fia salute
per cui mor・ la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccer・ per ogne villa,
fin che l'avr・ rimessa ne lo 'nferno,
l・ onde 'nvidia prima dipartilla.

Ond'io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sar・ tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno,
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,

ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perch・ speran di venire
quando che sia a le beate genti.



A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ci・ pi・ di me degna:
con lei ti lascer・ nel mio partire;

ch・ quello imperador che l・ s・ regna,
perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua citt・ per me si vegna.

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi ・ la sua citt・ e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!・.





E io a lui: ・Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acci・ ch'io fugga questo
male e peggio,
che tu mi meni l・ dov'or dicesti,
s・ ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti・.

Allor si mosse, e io li tenni dietro.





ダンテ・アリギエーリ 『神曲』より

〜地獄編T〜















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